1. Ricorda, Layla
    Racconto

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    «ma mère?» Il ragazzo si era fatto grande, e ormai era in quell'età in cui si comincia a staccarsi dalla casa e a fare esperienze fuori dal nido ma, con molta gioia da parte di Layla, non aveva rinunciato a quel nomignolo per chiamarla «ma mère? Dove siete?» Si fermò al centro della stanza guardandosi attorno, le mani sui fianchi in una posa che le ricordò dolorosamente quella del padre.
    «Eccomi, mon cher, sono qui» disse uscendo dal gabinetto seminascosto nel muro.
    «Ma mère, vi devo parlare» Sembrava decisamente su di giri, evidentemente gli era successo qualcosa di veramente bello.
    «Dimmi, mon cher» non poteva fare a meno di sentirsi contagiata da quel buon umore.
    «Ho incontrato una ragazza» Le disse lei raggiante «Ve la devo far conoscere, ne andrete matta! Pensate che legge i manuali di filosofia del fratello! Vedrete, vedrete!».

    «Ripetetelo ancora, vi prego» Layla, abbracciata all'uomo, si sentiva sicura e forte, ma non poteva fare a meno di provare vergogna per quei sentimenti nuovi che non riusciva a controllare.
    «Vi amo, Layla, siete la donna più strampalata e assurda che abbia mai incontrato, ma vi amo» Alessandre la abbracciò più forte al petto, circondandola con le proprie braccia forti «Non posso vivere senza di voi, siete tutto ciò che mi tiene in vita».
    «Alessandre» trovò la forza di sussurrare, stringendosi a lui con forza, quasi volesse entrare in quel petto caldo.
    Poco lontano, il forte ruggito del drago sigillò quel momento perfetto.


    Aveva finto di essere contenta, lo aveva abbracciato, gli aveva accarezzato la guancia e lo aveva lasciato andare, probabilmente tra le braccia di quella ragazza che lo aveva fatto gioire tanto. Sapeva che, prima o poi, sarebbe successo, ma non riusciva ad accettarlo. Alessandre le era stato strappato via, e ora Gardien stava per volarle via dalle mani.
    Nella stanza, sola, aprì un cassetto della toletta tirando fuori un foglio bianco. Sapeva che Alessandre non aveva letto la prima lettera che gli aveva lasciato, o le sarebbe arrivata una qualsiasi risposta. Sapeva anche che le lettere successive avevano ricevuto una sorte simile; ma lei doveva provarci, doveva provarci in continuazione, doveva credere che Alessandre, un giorno, avrebbe potuto perdonarla.

    «Sei sicura che lui ti ami?».
    Trovava odioso entrare in quella stalla e parlare con quell'animale, ma dall'altro canto sentiva il bisogno di farlo, non poteva farne a meno, perché quell'animale svegliava in lei delle sensazioni contraddittorie che la facevano sentire viva, che la facevano sentire vera.
    «Lui mi ama» rispose, continuando a fissare le scaglie dell'animale, che ad ogni respiro si sollevavano e si abbassavano, mostrando appena la pelle sottostante.
    «E tu? Lo ami?».
    «Lo amo» disse semplicemente, convinta di quello che diceva. Una roca risata echeggiò per il locale, inquietante, affascinante, tremenda....

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    Last Post by AntonioMilitari il 24 Feb. 2017
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  2. Dimentica, Alessandre
    Racconto

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    “Messere DeFrance, è arrivata una lettera per voi” Il ragazzo gli consegnò la lettera, quindi si voltò e scappò via correndo, richiamato da qualche mansione da sbrigare in casa.
    L'uomo si passò la busta tra le mani: era impossibile non riconoscerla. Layla utilizzava sempre la carta più pregiata per imbustare le proprie lettere, una carta leggermente ruvida al tocco, ma che all'occhio dava la sensazione di stringere tra le mani una carta fatta di nuvole, o di lana. La voltò e, sul diritto della lettera, vide il marchio della dama, come si aspettava: una testa di drago con una rosa in bocca.
    Si sorprendeva sempre per quel sigillo, che la dama si era fatta fabbricare. Era elaborato in maniera assurda e complicata, eppure si vedeva in tutti i suoi dettagli, dando alla massa di ceralacca l'aspetto di una piccola scultura. Sopra, nel carattere elegante e preciso della donna che amava, una sola riga:

    A Messere DeFrance, con tutto il mio affetto.


    La rigirò tra le dita ancora una volta, indeciso se aprirla o meno, osservando ogni singola lettera dell'intestazione, temendo di perderne anche solo un trattino.

    Quando ormai si trovava all'altezza della torre, si piegò sulle ginocchia e mise il peso del corpo sulla gamba sinistra: l'animale rispose prontamente e virò in quella direzione con eleganza. Da sotto, Alessandre sentì il rumore scrosciante di un applauso. Tirò leggermente le redini e il drago si impennò verso l'alto, mentre continuava la virata, dando vita ad un elegante piroetta. Altro applauso dal basso. Con poche manovre ben eseguite, Alessandre lasciò scendere l'animale, planando a pochi metri da terra, fino ad atterrare vicinissimo al gruppo che banchettava sul prato.
    Un ennesimo applauso lo accolse mentre lasciava le redini in mano allo scudiero di turno.
    “Messere DeFrance, la vostra bravura è qualcosa di abbacinante” Esclamò giuliva la contessa Marlen.
    “Un connubio perfetto di forza ed eleganza” Commentò il Barone Von Kilber.
    “Siete troppo buoni, signori, si tratta solo di esercizio” Si schernì il nobile, in realtà gloriandosi intimamente per le lodi ricevute.
    “Avete ragione, si tratta solo di esercizio” A parlare era una ragazza che Alessandre non aveva mai visto prima. Era sotto il gazebo, con una tartina in mano, vestita di un tiepido abito azzurro, con relativo parasole abbinato, e lo guardava con un'espressione ironica sul volto “Un esercizio continuo ed estenuante a cui quel povero animale viene sottoposto ogni giorno”. Ci fu qualche mormorio di disapprovazione, ma la ragazza se ne infischiò, continuando ad osservare il nobile.
    Alessandre la squadrò senza nascondere un'espressione sorpresa: non era una dama come le altre, presenti o meno. A partire dai capelli, tenuti corti, come una donna maritata, mentre era evidente che non lo fosse; sotto, l'abito era quello di una signorina d'alto rango, ma lei lo teneva sbottonato su...

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    Last Post by AntonioMilitari il 20 Feb. 2017
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  3. Lacrima di sangue
    Racconto

    «Scusi signora, non può passare da questa parte» Ripeté per l'ennesima volta John.
    «Mi faccia il piacere e si sposti! Devo assolutamente passare!»
    John si spostò a disagio, impedendo alla vecchietta di sgattaiolare tra lui e la porta «Signora, la prego... Nessuno può entrare fino all'arrivo del governatore»
    La vecchietta tentò ancora un paio di manovre inutili, cercando di passare, poi gli puntò un indice proprio sotto il mento «Lei non sa chi sono io!» Tentò di urlare con fare autoritario.
    John evitò di dirle che la conosceva alla perfezione, e che, probabilmente, la conosceva meglio di lei stessa. John Goldmind era il più grande esperto di linguaggio del corpo in tutta la galassia, inoltre vantava una rete d'informazione praticamente infinita, ricordava tutto ciò che sentiva e vedeva con una precisione incredibile e, di conseguenza, era probabilmente la persona più intelligente in quel palazzo. Se tutti quanti, però, ignoravano financo la sua presenza era per via del cartellino di riconoscimento in ottone, attaccato al taschino della giacca, che lo identificava come John R. Goldmind. John Robot Goldmind.
    «Scusi signora, ma non può passare da questa parte» A parlare era stato un omone alle spalle della vecchietta, che si stava avvicinando in quel momento. La donna lo osservò contrariata per un attimo, quindi se ne andò borbottando. Gli esseri umani tendono a dare maggiore autorità ad altri esseri umani.
    «Quello che hai fatto non è legale» sussurrò Goldmind dopo che la signora si allontanò
    «Ha importanza?» Si strinse nelle spalle l'altro uomo
    «Ha importanza per lui» sottolineo John
    «Lui non è qui, adesso: e non ha dato ordini espliciti in materia» Disse l'altro, appuntandosi la placchetta d'ottone al taschino della giacca
    «Finirai per farti licenziare» Lo fissò duro Goldmind «O peggio ancora disattivare, Jorge R. Silverforce»
    Senza aggiungere altro, i due robot si misero l'uno di fianco all'altro, a chiudere l'ingresso alle proprie spalle, immobili e statici, come statue di cera, aspettando l'arrivo del governatore.

    «Ragazzi, vi prego, sedetevi» Il governatore di Nettuno XIII era un uomo semplice, a cui il potere non aveva dato alla testa. Vestiva alla maniera classica, si manteneva in forma andando in palestra ogni giorno ed evitando di delegare tutto il lavoro alle macchine. Era solare e giocoso, ma sapeva anche essere serio e autoritario, tanto da essere temuto e amato dai tutti i suoi sottoposti.
    Ogni tanto, con una reazione simile alla tristezza umana, Goldmind pensava al proprio padrone come ad un novello Gulio Casare1, e temeva per la sua sorte. Goldmind e Silverforce si misero seduti di fronte alla scrivania, anche se non ne avevano il minimo bisogno.
    «Sapete chi è venuto a lamentarsi con me, questa mattina?»
    Non ci voleva il genio di John per rispondere «La signora Mousin?»
    «Proprio lei... E sapete che cosa mi ...

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    Last Post by AntonioMilitari il 14 Feb. 2017
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  4. Come nasce Antonio
    Pillole di me

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    Pillole di me
    By AntonioMilitari il 12 Feb. 2017
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    Antonio Militari è uno pseudonimo, cioè un nome inventato con cui pubblico le mie storie, ma come ho iniziato a scrivere?
    Da che mi ricordo ho sempre amato leggere, fin da quando, molto giovane, non mi è capitato tra le mani il romanzo "I ragazzi della via Paal", scritto da Ferenc Molnár, ma l'idea di scrivere un libro non risale a quel periodo. Solo più avanti, crescendo, mi è iniziata a venire fuori questa voglia di lasciare scritto qualcosa di mio, di poter raccontare qualcosa attraverso un libro.
    I tentativi sono stati tanti e spesso disumani: dal tentativo di riscrivere la Divina Commedia in romanesco all'idea di uno scrittore che scrive di uno scrittore che scrive di uno scrittore che scrive di uno scrittore....
    Tutti questi tentativi sono miseramente falliti per due motivi principali: il primo è l'infattibilità degli obbiettivi che mi ponevo, e il secondo è la mia impossibilità di presentare a qualcuno i miei lavori per timidezza, e la conseguente mancanza di motivazione che mi faceva abbandonare tutto poche pagine dopo aver iniziato.
    In questo squallido contesto, un giorno, girando per internet alla ricerca di manga da divorare, mi sono imbattuto nell'immenso mondo delle Fanfic, cioè quei racconti che hanno per protagonisti i personaggi di opere più importanti. Colto da un improvviso moto di ispirazione, scrivo un primo capitolo di una storia e lo pubblico su EFP, uno dei più grandi siti di fanfic in Italia (Questo racconto, incompleto, gira ancora per il sito), ovviamente sotto falso nome (non ancora, però, con quello di Antonio.
    Dopo poco, però, mi rendo conto che scrivere una storia con personaggi che non si sono inventati, e che quindi non si conoscono appieno è molto difficile, e troppo per le mie capacità di scrittore prinipiante, così abbandono il progetto e mi dedico ad altro: un racconto originale basato sulla mitologia Giapponese e condito da combattimenti e arti marziali! Lo scarso risultato che ottengo, però, mi fa desistere dopo un solo capitolo (che riceve poco più di 100 visualizzazioni in due anni), per dedicarmi ad uno dei temi affrontati in precedenza: lo scrittore che scrive dello scrittore che scrive.... Avete capito.
    La storia riesce a catturarmi parecchio, e riesco a portarla avanti per ben quattro capitoli, prima di abbandonarla per mancanza di risultati (due recensioni solo per il primo capitolo, poi il nulla, con un picco massimo di visualizzazioni di settanta), scrivendo quindi un'altra storia, che però, per complessità (doveva essere un mini-poema), ho abbandonato anch'essa.
    Così muore il mio primo pseudonimo, senza successo alcuno e con molta delusione, ma anche con una piccola esperienza da portarsi dietro.
    Dopo qualche mese decido di riprovarci, ma con un nuovo account, per evitare quella cattiva fama di incompletatore che mi ero fatto. Il mio primo nuovo racconto era forse troppo particolare, ed era, inoltre, la trascrizione semplice semplice di u...

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    Last Post by AntonioMilitari il 12 Feb. 2017
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  5. Il Cappotto
    Racconto

    Il ragazzo posò la schiena sulla sedia girevole, facendola gemere appena; davanti a se, uno schermo bianco mostrava una pagina bianca, contornata del bianco della scrivania immacolata. Bianco. Questo colore lo stava perseguitando da quando aveva iniziato a scrivere. Adesso, dopo aver cancellato per l'ennesima volta le poche righe che aveva vergato, si trovò a fissare nuovamente quello schermo bianco.
    -Perché è così difficile scrivere?- Si allontanò con rabbia dalla sedia per andare in cucina, aprire il frigo e fissarne tristemente il contenuto, in cerca di qualcosa di dolce, che non trovò. Sentiva il bisogno di fare qualcosa, di scrivere qualcosa, ma ogni volta che un'idea gli saltava alla mente non riusciva a metterla su carta (o su schermo), prima che gli sfuggisse via diventando un'immagine sfocata di quello che era stata.
    Chiuse con un tonfo l'anta del frigorifero e decise che non era il momento adatto per scrivere, torno in camera e fece sbattere lo schermo del portatile contro la tastiera; oggi sembrava in vena di distruggere le cose.

    Si alzò improvvisamente dal letto nella stanza buia. Si guardò intorno con il fiatone cercando quella figura che aveva visto un momento prima, che sembrava essere sparita nel nulla, quando avvertì la sua mano sfiorargli la fronte. Saltò come una scimmia, cercando di cacciare quella mano invisibile, per poi accorgersi che si trattava solo di una goccia di sudore, che stava scivolando, pigra, verso gli occhi. La asciugò con stizza, per poi correre in cucina, a prendersi un bicchiere d'acqua.
    Con il freddo vetro tra le mani a rassicurarlo, posò la testa contro il frigorifero e chiuse gli occhi, cercando di ricordare il sogno prima che sparisse totalmente dalla sua memoria onirica.
    Era in un luogo buio e freddo, forse una strada, quando un uomo si era avvicinato: si trattava di un uomo classico, quasi vecchio, con un lungo cappotto nero e un cappello a falde (quanto tempo che non vedeva un cappello così per strada), un paio di occhialini posati sul naso e una cravatta perfettamente annodata, ovviamente in modo classico. Perfino la camminata aveva qualcosa di classico, con le mani bene affondate nel cappotto, la schiena spinta leggermente all'indietro, ma il capo chino in avanti, quasi non avesse l'ardire di osservare gli altri negli occhi.
    Aveva camminato lento, fino a passargli accanto, ma invece di continuare a camminare, si era fermato improvvisamente al suo fianco, sollevando la testa, e fissandolo dritto negli occhi, con uno sguardo che lo aveva fatto rabbrividire.
    -Lei è uno scrittore?- Chiese, sistemandosi gli occhialini dall'aspetto fragile sul naso.
    -Qualcosa del genere, si.- E si pentì subito di averglielo detto.
    -Ci avrei giurato, ci avrei giurato. Mi dica, ha già scritto qualcosa?-
    -Non sono ancora riuscito a terminare niente- Perché gli sto dicendo queste cose?
    -Che peccato, che peccato. Però scommetto che ha già un'idea in mente...

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    Last Post by AntonioMilitari il 12 Feb. 2017
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